In Italia meglio il carbone che il CSS. Colpa della burocrazia…


Il CSS è il Combustibile Solido Secondario ricavato a valle del ciclo integrato dei rifiuti, da tutto quel materiale (prevalentemente plastico) che non è stato possibile avviare a percorsi di recupero o riciclo.
Si tratta di materiale che, se non trasformato in combustibile, sarebbe irrimediabilmente destinato alla discarica.
L’Italia produce ogni anno (dati Eurostat 2016) 3 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica. Di questo quantitativo, il 33% viene dalla raccolta differenziata “domestica” e viene appunto trattato per dare vita a nuovi prodotti attraverso il riciclo. Il restante 66% proviene dalle imprese. 
È importante per l’Italia, perfezionare e chiudere efficacemente il ciclo integrato dei rifiuti e trovare nuovi sbocchi per il CSS. Favorendone l’uso ad esempio nei cementifici, dove mediante coincenerimento, il CSS viene utilizzato per produrre energia in sostituzione di combustibili fossili che vengono ottenuti dall’estrazione di risorse primarie.
È già possibile, sia dal punto di vista tecnico che legislativo (l’autorizzazione risale al Decreto del Ministero dell’Ambiente 14 febbraio 2013, n.22), ma perché il CSS possa essere utilizzato al posto degli usuali combustibili deve essere lavorato e trattato per eliminare metalli residui e PVC la cui combustione produce sostanze dannose per l’ambiente e la salute umana.
I dati dell’AITEC 2015, Associazione del settore cementiero italiano che fa capo a Confindustria, indicano che le possibilità per l’Italia di sviluppare il settore sono ampie: in Germania il 65% del combustibile impiegato nei cementifici è di tipo alternativo, in Belgio il 53%, in Italia siamo ancora fermi ad appena il 13%.
Le cause del ritardo sono imputabili a difficoltà sociopolitiche. In Italia, i cementifici per poter utilizzare il CSS, devono investire in tecnologie di combustione e depurazione dei fumi, e richiedere specifiche autorizzazioni, che troppo spesso vengono rilasciate dopo un lungo iter burocratico, non compatibili con una corretta pianificazione industriale.
Occorre semplificare il processo burocratico per evitare che il CSS attualmente prodotto, invece di essere riutilizzato in Italia, venga esportato e valorizzato altrove, in altri contesti nazionali, come pure già sta avvenendo.
La normativa purtroppo fatica ancora a collocare il CSS, con decisione e chiarezza, nel novero dei combustibili. Se lo si considera ancora rifiuto – ed in alcune disposizioni sembra questo l’orientamento - è evidente che sarà possibile avviarlo alla combustione e al trattamento termico solo presso impianti autorizzati al trattamento di rifiuti (soggetti a specifiche autorizzazioni).
Ma il CSS, trattato e selezionato nei modi imposti dalla normativa, è un combustibile a tutti gli effetti: oggi può essere prodotto esclusivamente dagli impianti autorizzati, in possesso di AIA (Autorizzazione integrata ambientale), dotati di certificazione ambientale di cui alla norma UNI EN 15358 o di registrazione EMAS.
Basterebbe invece come modifica dell’autorizzazione l’impiego di CSS in questi impianti, almeno per i quantitativi al di sotto delle 100 tonnellate al giorno, per incentivare l’utilizzo di CSS con tutto quanto ne consegue, in termini di impatto e benefici, sull’ambiente e sull’ecosistema.


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