Plastica, non tutto è riciclabile. Il resto, può diventare combustibile

La plastica è essenzialmente riciclabile: il ciclo integrato dei rifiuti punta, anche grazie ad una raccolta differenziata sempre più spinta e qualificata, ed a centri di selezione tecnologicamente avanzati, a recuperare tutto il possibile, per dare a questo materiale un nuovo utilizzo ed una nuova destinazione.
Per comprendere di cosa stiamo parlando, basta scrutare il cassonetto dell’immondizia della nostra abitazione ed individuare il “peso specifico” del materiale plastico nelle sue più disparate tipologie.
Ma vi sono plastiche e plastiche: non tutte possono essere riciclate e tante, nel loro quotidiano e usuale utilizzo, sono talmente “compromesse” o “contaminate”, da rendere improponibile l’avvio di un processo di recupero e riutilizzazione.
Organismi qualificati e specializzati, sotto il diretto controllo e coordinamento del Corepla, il Consorzio Nazionale per la raccolta, il recupero e il riciclo della plastica, si occupano ogni giorno di questi procedimenti, a valle della raccolta differenziata, per svolgere un’attività sempre più accurata di selezione del rifiuto plastico, differenziandolo per tipologia, per dimensione, ma finanche per polimero e colore. Tutto ciò avviene nei Centri di Selezione (CSS), impianti industriali evoluti che rappresentano l’ultimo anello della raccolta e il primo del riciclo. I CSS raccolgono e selezionano la plastica della raccolta differenziata in base a specifiche caratteristiche tecniche, e previa pressatura, la avviano appunto ai percorsi di recupero e riutilizzo.
La Campania è una delle regioni più attive su questo fronte, disponendo di ben 6 CSS che lavorano in media (dato Corepla 2017) 211mila tonnellate di rifiuti plastici. Meglio, in Italia, almeno dal punto di vista delle quantità lavorate, fanno soltanto Lombardia (192.207 t) e Veneto (118.148 t).
Nonostante la complessità e la crescente efficacia delle procedure di selezione a monte, comunque il materiale “di risulta” è quantitativamente enorme. L’Italia, secondo Eurostat (dato 2016) produce ogni anno 3 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica. Di queste, circa il 33% viene dalla raccolta differenziata domiciliare e viene lavorato per dare appunto vita a nuovi prodotti attraverso il riciclo. 
Tutto quanto viene “scartato” in queste procedure di differenziazione nei CSS, che fine fa?
Realtà come PRT impediscono che questo multimateriale, in cui la plastica è ancora nettamente prevalente, finisca in discarica.
Questo agglomerato multimateriale, comunemente definito plasmix, viene sottoposto ad ulteriori procedure di pulizia/selezione, liberato da sostanze non combustibili come il ferro (avviato al recupero) e il PVC, per poi essere “triturato” e trasformato in Combustibile Solido Secondario (pure questo CSS, da non confondere con i suddetti centri di Selezione), preziosissimo per alimentare cementifici e termovalorizzatori per la produzione di calore e di energia elettrica. Senza questo materiale, tali impianti dovrebbero approvvigionarsi di carburanti e combustibili fossili, con un impatto ambientale sensibilmente superiore a quello del derivato dai rifiuti solidi urbani.
Il CSS può essere ricavato solo dai rifiuti urbani e speciali, purché non pericolosi, e può essere prodotto esclusivamente in impianti autorizzati ai sensi dell’articolo 208 del d.lgs. 152/2006, in possesso di AIA (Autorizzazione integrata ambientale) e dotati di certificazione ambientale UNI EN 15358 o registrazione EMAS.
Finanche la plastica di scarto, non riciclabile o recuperabile in alcun modo, con il CSS trova quindi una nuova vita ed un prezioso utilizzo.

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