La plastica? No, le plastiche

La plastica, la principale sostanza che compone il “plasmix”, il rifiuto alla base della produzione di CSS, in realtà non è un unico materiale. Anzi, è un universo di materiali policomposti alcuni dei quali addirittura devono essere individuati e scartati, in quanto non idonei al coincenerimento nei forni di cementifici e centrali termoelettrici, per le esalazioni tossiche producono.
Non esiste quindi la plastica, ma esistono “le plastiche”: polimeri alcuni dei quali naturali (come l’ambra, il guscio di tartaruga o il corno, in qualche modo assimilabili alla plastica) altri derivati.
Dapprima – siamo agli albori della storia plastica - è una via di mezzo, un materiale semisintetico ricavato dalla cellulosa, il Parkesine, con cui si producono manici, scatole, polsini e colletti delle camicie.
Poi una plastica viene ricavata per condensazione tra fenolo e formaldeide: è la prima resina termoindurente di origine sintetica; fino ad arrivare al polivinilcloruro, più noto con la sigla PVC, che avrà (e ancora ha) grandissimi sviluppi industriali. 
Sono nei primi decenni del secolo scorso, s’inizia a ricavare la plastica dal petrolio. Nascono così poliammide (nylon), polietilene tereftalato (PET), terylene, poliuretani sviluppati per sostituire la gomma, copolimeri cloruro-acetato di vinile. 
Solo in tempi recenti le plastiche sono essenzialmente “tecnopolimeri”. Il polimetilpentene (o TPX), le poliimmidi, resine acetaliche, il polifenilene ossido, gli ionomeri, i polisolfoni, il polifenilene solfuro, il polibutilentereftalato, il policarbonato usato, fra l'altro, per produrre i caschi spaziali degli astronauti, le lenti a contatto, gli scudi antiproiettile. 
Tutti a base di petrolio.
Ma come riconoscere i vari tipi di plastica? Le plastiche sono riconoscibili tramite il loro logo di riciclaggio, composto da un triangolo al cui interno vi è un numero che va dall’1 al 7. Da 1 a 6 il materiale è riciclabile. Il 7 indica una plastica non riciclabile e va gettata nell’indifferenziato.

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